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mercoledì 21 gennaio 2009

OGNUNO HA QUEL CHE SI MERITA


venerdì 2 gennaio 2009

Lettera da Gaza ad un mondo che non sa ascoltare

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l’obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?
Ramallah, 27 dicembre 2008

mercoledì 31 dicembre 2008

La tragica situazione di Gaza

Le immagini confuse di miliziani di Hamas che a Gaza si muovono con rapidità per armare i missili Qassam e lanciarli contro Israele, seguite dalle immagini più definite dei danni provocati da quelle armi rozze che tuttavia demoliscono, sbrecciano, feriscono e talora uccidono parlano il linguaggio della guerra.
Gli israeliani non hanno dubbi al proposito e la stragrande maggioranza di essi e dei partiti che li rappresentano politicamente ritengono che la risposta ad un’azione bellica non possa che essere un’operazione militare.
L’esercito ha ottenuto il via libera. L’intento è quello di fare pagare a caro prezzo a Hamas la sua aggressione contro i territori di confine dello Stato D’Israele.
In questa situazione esplosiva, fa la sua timida comparsa qualche gesto di distensione: gli israeliani hanno autorizzato il passaggio di aiuti umanitari verso il devastato territorio, il premier Olmert si è rivolto al popolo di Gaza per sollecitarlo a ribellarsi al “comune” nemico Hamas.
Nobile gesto quello di rivolgersi ai popoli, ma a quale popolo? Un popolo nella dignità delle proprie prerogative? Titolare legittimo del proprio futuro? il popolo di una nazione, dotato di un proprio stato?
No! Un popolo che oggi vive in stato di assedio? Un popolo la cui maggioranza elettorale ha scelto Hamas in una delle elezioni più libere e democratiche che si siano viste negli ultimi tempi.
Se questa è la realtà, il fervorino di Olmert è puramente demagogico ed è un ennesimo viatico per passare da un cul de sac ad un altro. Niente di nuovo sotto il cielo della Terrasanta, se non le ennesime sofferenze degli inermi.
Sia Hamas che il governo israeliano potrebbero fare altro, ma da quelle parti sembra impossibile andare oltre la routine del nefasto status quo.
Di prendere il problema dalla radice poi neanche se ne parla più se non per pura accademia.
MONI OVADIA

mercoledì 3 dicembre 2008

WALTER E ROMANO




mercoledì 26 novembre 2008

La mancia


Sono state convulse queste ultime ore. La riunione a Palazzo Chigi, che si è tenuta ieri sera tra il governo e le parti sociali, ha lasciato fredda la Cgil. Il sindacato, confermando lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre, ha stroncato le proposte del governo con le parole del segretario Guglielmo Epifani, “esposizione generica e insufficiente”. Le richieste della Cgil sono le stesse di questi ultimi giorni: sospendere la detassazione degli straordinari che, in un periodo di recessione, è considerata inutile e detassare, invece, le tredicesime con lo scopo di far ripartire i consumi.Insomma, il piano del governo non ha convinto. Il bonus per i più bisognosi, per il mese di dicembre, dovrebbe ammontare più o meno a 120 euro. Non c’è da stupirsi se le vignette e i titoli dei giornali di oggi abbiano utilizzato, più o meno tutti, la parola “mancia”, sinistro presagio del Natale che ci attende.Riusciamo a bloccare telefonicamente Agostino Megale, segretario confederale della Cgil, proprio sulla porta di “Porta a Porta”, per farci raccontare quali sono le impressioni che ha riportato dalla riunione di ieri.Ma è proprio una mancia quella del governo? Cosa pensi dell’incontro di ieri?
“Nell’incontro di ieri sono state avanzate ipotesi inadeguate e insufficienti, rispetto a quello che secondo noi richiede la situazione. Ora non ci resta che attendere il prossimo Consiglio dei ministri per vedere come le tradurrà in risorse investite. Solo così potremo capire l’impatto che queste misure potranno avere sulle famiglie e sui consumi, l’effetto che potranno esercitare su redditi e la copertura per i lavoratori”.E lo sciopero generale?
“Quanto allo sciopero e a questa discussione che si è concentrata sulla possibilità di farlo o di cancellarlo, beh, mi è difficile capirla. Il direttivo ha stabilito che il 12 dicembre ci sarà lo sciopero generale. Non ho difficoltà a evidenziare che se il governo accoglierà una parte importante delle nostre proposte, noi, in quanto sindacato, potremmo ritornare sulla nostra decisione. Lo sciopero per noi è un mezzo per raggiungere determinati obiettivi. Se, dunque, i risultati ci saranno, prenderemo provvedimenti adeguati, altrimenti…”.
Altrimenti, come sembra ormai certo dall’atteggiamento del governo, sarà sciopero generale. Del resto, la conferenza stampa tenuta oggi in Corso Italia da Guglielmo Epifani non sembra lasciare nessuna speranza a chi ancora pensava che il governo potesse accogliere le proposte del sindacato. Gli uffici della Cgil hanno stabilito che servono due finanziarie per un totale di 23 miliardi di euro. "Una manovra pari allo 0,7% del pil per quest'anno e allo 0,7% per l'anno prossimo", ha detto Epifani. "E' una manovra grossa ma corrisponde a ciò che Gordon Brown sta proponendo per il suo Paese. E da subito avrebbe un effetto benefico sui consumi, ridurrebbe gli effetti di abbassamento del Pil, e tra quattro anni avrebbe una sostanziale parità". Una manovra grossa. Ben diverso dai pannicelli caldi che ha messo sul tavolo il governo.
Per saperne di più:
Le ragioni dello sciopero generale del 12 dicembre

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